Prigionieri

Mi sono svegliata con il cuore gonfio di malinconia. E’ oggi la giornata della memoria, quella memoria che tengo dentro di me come in uno scrigno, come una cosa preziosa, da non disperdere, da dividere con le persone care, sulla quale ritornare quando sono sola, i pensieri si fanno coinvolgenti, i ricordi riannodano vite passate. Sembrano foto sfocate e sbiadite, lontane nel tempo. Non è così,  sono il mio sangue, sono un amore senza precedenti, lontano e vicino al tempo stesso, sono la mia forza per andare avanti, per non smettere di lottare, per diffondere un messaggio di speranza, per dire ai miei figli, ai miei nipoti di non allontanare la memoria della famiglia, di diffonderla, di amarla come si amano le cose di valore, uniche.

Una persona nella mia famiglia ha vissuto le brutture della guerra, lunghissimi anni nei campi di concentramento, ha lottato contro la fame, il caldo, il freddo,  ma soprattutto ha sofferto la costrizione di una vita non cercata, soffocata dagli oppressori, con il cuore stretto dalle malinconie e dalla lontananza da casa. Una guerra cominciata con il combattimento e finita come guerra dei sentimenti, come guerra dell’anima. Giorno dopo giorno una lotta per restare attaccato alla famiglia, alla casa su nel poggio, a Pratovecchio , dove restavano in attesa gli affetti cari, per restare fedele a un’ideale, alla Patria nonostante tutto. Un uomo tutto d’un pezzo, con la schiena dritta di fronte all’Inno Nazionale. Lo ricordo a un concerto, l’ultimo della sua vita, della Banda della Marina Militare all’Auditoriun. Ritto, in piedi, con i panni che ormai gli cadevano addosso, un uomo minato nel fisico, ma non nei sentimenti.  Un po’ lontano,  in alto rispetto a me, l’ho seguito con lo sguardo tutto il tempo cercando di immaginare cosa attraversasse il suo cuore, il cuore di una persona giunta alla fine dei suoi giorni. Ho immaginato un uomo  con i suoi bagagli colmi di valori intatti verso la vita, le Istituzioni, gli altri. Ho immaginato di confortarlo, di stringerlo nell’abbraccio che consola, ho immaginato di trasmettergli il mio pensiero di solidarietà, il mio affetto incondizionato. Ho pensato tutto questo in quei tre minuti mentre l’Inno Nazionale coinvolgeva tutti i presenti con l’abbraccio delle sue note.

Con lui voglio ricordare tutti quelli che sono andati via portandosi dietro le brutture, le sofferenze, gli orrori  della guerra, ma in particolare voglio soffermare lo sguardo sui prigionieri, quegli uomini  ai quali è toccato un destino di perdenti, di sconfitti e catturati, che hanno soffocato dentro anni di silenzio, umiliazioni, privazioni, che si sono dovuti giustificare al ritorno in Patria. Una moltitudine di diseredati hanno patito, lottato, vissuto una vita che non apparteneva loro. Chi è stato più fortunato è ritornato piagato, ma non piegato, ha avuto la forza di ricominciare, di ritornare a credere e lottare, di continuare ad amare la Patria e a costruire la propria vita intorno ai valori. Valori, parola oggi quasi desueta, troppo spesso non usata con la giusta considerazione. Riscopriamo questa parola, non la usiamo soltanto per impressionare, usiamola sì, ma dandole il giusto valore, con la schiena dritta, come quel piccolo, grande uomo che ho avuto l’onore di avere accanto,  la lampada che ha illuminato il cammino della mia vita. Grazie. Grazie a lui e a tutti quelli che non ce l’hanno fatta a vivere una vita lunga e ricca di eventi, che hanno lasciato la terra in un campo straniero, lontani e privi di affetti. A loro il mio buongiorno, un buongiorno di resurrezione, di vicinanza, di partecipazione amorosa, un grazie per avermi regalato un’Italia libera, da amare e da tenere stretta al cuore.

Il racconto, forte e chiaro, di una vita resterà per sempre a monito di qualcosa da tenere a bada, a testimonianza per osservatori attenti alla democrazia, alla nostra  indipendenza. L’Esercito Italiano è stato con noi, ha reso gli onori al soldato Bruno Fiorini, lo ha riconosciuto e accolto di nuovo fra le sue file. Grazie.