Giovanni Leto – 2002

“La RAI è al bivio: o rinasce o potrà solo sopravvivere”

Giovanni Leto - 2002E’ nato a Roma nel 1929 dove si è laureato in Lettere Moderne con una tesi sulla poesia di Leopardi. Fin da giovane si è interessato di cinema. Nel 1950 è tra i fondatori del Centro Universitario Cinematografico che ha svolto un’importante azione per la diffusione della cultura cinematografica, organizzando la proiezione di cicli organici dei film che hanno segnato lo sviluppo dell’arte del film e suscitando dibattiti e approfondimenti culturali. Nel 1955 ha vinto un concorso per Programmisti della Rai, ha collaborato a programmi culturali, di teatro, musica, di cinema e di fiction. Si è occupato a lungo di politica aziendale come Presidente dell’Associazione Programmisti e come Vice Presidente dell’ADRAI. Nel 1995-1996 è stato coordinatore del Comitato Prodi della Rai “Per la comunicazione che vogliamo”.

Ho lavorato con Giovanni Leto nel periodo ’76-80, anni ricchi e indimenticabili di lavoro, di impegno e di belle amicizie che non si sono mai perse nel corso degli annia venire ma che anzi si sono rafforzate arricchendosi, nonostante le strade di tutti si siano divise, di ricordi, stima, simpatia, affetto e anche di qualche incontro di fronte ad una tavola imbandita.
Lo incontro e rivolgo la prima domanda

 

Cosa ricorda dell’assunzione in Rai?

Sono entrato in RAI nel 1955 vincendo un concorso per programmisti (il primo e uno dei pochi concorsi con cui l’Azienda ha cercato di selezionare un personale specializzato). Inizialmente sono stato assegnato al Servizio Programmi Speciali e Sperimentali e in quel settore ho iniziato a lavorare con Sergio Silva, al programma storico “Cinquant’anni, 1898/1949 – episodi di vita italiana tra cronaca e storia” che ebbe uno strepitoso successo e di cui poi sono stato il responsabile aziendale, quando ero già passato ad un altro settore (il Servizio Film) e il programma di cui era stata sospesa la preparazione venne ripreso e affidato ad un gruppo di lavoro formato da me, dal regista Gian Vittorio Baldi e dal giornalista Silvio Negro. Prima nel Servizio Film e poi nel Servizio Programmi filmati mi sono occupato della scelta e della programmazione di film e telefilm.
Ho partecipato alla nascita e all’affermazione del secondo canale TV prima nei programmi culturali e poi dopo il 1966 come Capo Servizio dei Programmi Speciali alle dipendenze di Angelo Guglielmi e Mario Motta e infine come Capo Struttura di Raidue dopo la Riforma del 1975.

Qual è stato l’interesse e l’impegno per i grandi sceneggiati e per il cinema di qualità?

Dal 1966 al 1980 (quando venni spostato dai settori produttivi della Rete Due a quelli organizzativi) e poi dal 1987 al 1994 quando sono ritornato ai programmi, mi sono occupato prevalentemente di sceneggiati e di film. Impossibile ricordare i tanti programmi realizzati. Ricorderò quelli raggruppati sotto la sigla di “Teatro Inchiesta” e quelli della serie “I giorni della Storia” che vinse nel 1969 il premio Salsomaggiore attribuito per referendum dai giornalisti. Farò una eccezione per “Leonardo” e il “Verdi”, con la regia di Renato Castellani, che sono stati venduti in tutto il mondo e che sono considerati gli esempi più riusciti di “spettacolo culturale” e il film “Padre Padrone” dei fratelli Taviani che nel 197 vinse il Festival di Cannes.

E ora qualche accenno alla famiglia

Mi sono sposato giovane, a 27 anni, ed ho avuto presto i figli: Livia nel 1957 che lavora nel cinema e Luca nel 1959 che lavora nell’informatica. Mia moglie Gabriella ha insegnato latino e greco nei licei ed ha pubblicato importanti traduzioni di autori latini (Ovidio, Properzio). Ha inoltre vinto il premio Viareggio poesia nell’anno 1991 con il libro “Nostalgia dell’acqua”.

Qualche cosa sulla Rai che ha vissuto, quella che ha lasciato e quella di oggi

La Rai che ho intensamente vissuto – in particolare quella nata dalla Riforma del 1975 – è stata quella di un’azienda molto vivace e di grande impegno professionale dove i contrasti politici e culturali dialetticamente si confrontavano per trovare una sintesi che giovasse alle fortune dell’Azienda. Quella che ho lasciato nel 1994 quando sono andato in pensione mi sembra che già mostrasse segnali di crisi, in parte dovuti al mutamento intervenuto nel mondo della comunicazione e in parte all’incapacità dell’Azienda di rinnovarsi. Quella di oggi, per quanto non sia facile parlarne per chi come me ha solo un rapporto di collaborazione, mi sembra che sia giunta ad un bivio: o riesce, non aspettando aiuti esterni che non ci saranno, a “rinascere” o sarà condannata ad uno standard di mediocre sopravvivenza. E quindi il consiglio che si può dare a chi lavora in RAI è quello di uno sforzo inventivo (come quello che portò alla Riforma del 1975) che coinvolga tutti i settori aziendali, anche se ciò dovesse provocare scontri dialettici che sono il sale e il segno di una azienda in buona salute.

E attualmente?

Nel 1996, dopo che ero andato in pensione, i responsabili della Fiction (Silva e Munafò) mi invitarono ad occuparmi, come responsabile artistico (dalle sceneggiature al montaggio), di una serie, “Incantesimo”, che consisteva per la RAI in un importante esperimento: quello di produrre e trasmettere in prima serata una lunga serialità (26 serate ogni anno) a prezzi molto contenuti. Un programma popolare ma che piace anche agli intellettuali, si rifà in parte alle soap e in parte al feuilleton e che ha riscosso un grande successo di pubblico.